Dodici anni dopo la morte di Andrea Antonaci, il Tribunale di Roma ha emesso una sentenza definitiva sulle cause della sua malattia. Morto di tumore, Antonaci era un militare che ha partecipato alla missione Nato in Bosnia. L’ha ucciso l’uranio impoverito, e come lui molti altri soldati.

 

Ci sono due verità distinte che raccontano la storia dei nostri soldati ammalati dopo le missioni all’estero, dai Balcani in poi.
Una è quella che professano i politici nella commissione d’inchiesta che sta lavorando in Parlamento, l’altra – opposta – è quella che scrivono i giudici in sentenze che nel resto d’Europa stanno facendo storia, ma da noi sono sottaciute.

Sono più di 200 i militari morti e più di 2mila quelli ammalati di forme di tumori e leucemie differenti che hanno in comune sferiche nano particelle di metalli pesanti contenute nei loro tessuti. Particelle che, come la scienza ci racconta, si sono formate ad altissime temperature. E quelle temperature, in campo bellico, si scatenano con esplosioni di munizioni a uranio impoverito.

“L’uranio è il killer di Andrea Antonaci. Per questo il ministero della Difesa deve pagare”. Quasi un milione di euro, per i genitori del giovane militare deceduto il 12 dicembre 2000, per la sorella, interessi inclusi. Lo ha scritto nero su bianco il giudice del Tribunale civile di Roma che ha emesso una sentenza rivoluzionaria appena qualche giorno fa.
Il sergente Andrea Antonaci, proveniente da Martano, in provincia di Lecce, morì di linfoma non Hodgkin, in un ospedale a Firenze. Le sue ultime volontà, consegnate alla famiglia, furono che la verità sulle morti dei soldati per malattie repentine quanto violente venisse alla luce. Pochi giorni dopo l’allora ministro della Difesa Sergio Mattarella smentì pubblicamente Andrea: «Mi dispiace per quel ragazzo – disse – ma l’uranio non c’entra. E poi l’Italia non era stata informata dell’uso di uranio impoverito nei Balcani da parte degli alleati». La Nato poche ore dopo replicò inviando da Bruxelles una serie di documenti che sostenevano il contrario, ma su tutta la vicenda è rimasto per anni un alone di sospetti, verità negate, informazioni parziali. La versione del governo fu che comunque l’uranio impoverito non era un pericolo per i soldati.

Da allora sono passati 12 anni, tre commissioni d’inchiesta al Senato, tutte che sollevano dei dubbi, tutte che invitano a ulteriori approfondimenti, compresa l’ultima, che sta lavorando in una direzione precisa: la colpa delle malattie sarebbe delle campagne di vaccinazione alle quali sono stati sottoposti i soldati. La commissione ha rilevato che alcuni vaccini sono stati somministrati a distanza ravvicinata, a volte nello stesso giorno. E questo potrebbe aver indebolito il sistema immunitario dei ragazzi.

Tesi rigettata dall’Osservatorio militare di Domenico Leggiero che da dodici anni sta seguendo questa vicenda: «Sono stato in Bosnia – ci ha detto – dove ci sono numerosi cittadini ammalati e con nano particelle di metalli pesanti nel sangue come i nostri soldati. E certamente i bosniaci non sono stati vaccinati».

Il lavoro dell’Osservatorio e dell’avvocato Angelo Tartaglia – sono centinaia i casi che ha seguito in 12 anni – è stato proprio in questi giorni avallato dalla sentenza di Roma: la Ctu, la consulenza tecnica d’ufficio aveva sostenuto che l’uranio non era il colpevole, che non si poteva ravvisare una responsabilità del ministero, che Andrea Antonaci aveva lavorato in reparti amministrativi a Sarajevo, nella caserma Toto Barraks che non era stata bombardata.
E poi, che «il sergente Antonaci aveva scelto la carriera militare». Come a dire: se l’era cercata.

Il giudice ha rigettato in toto la consulenza: innanzitutto la caserma è stata oggetto di bombardamenti a uranio impoverito (e i segni della guerra sono in effetti ancora visibili nella struttura, ndr), poi il governo sapeva della nocività dell’uranio, tanto che prima dell’inizio della campagna c’era stata una riunione interforze operativa e informativa di tali rischi a cura della Nato a Bagnoli, dove il governo italiano aveva partecipato, e poi Andrea proprio per le sue mansioni doveva recarsi nelle zone maggiormente bombardate. Il giudice dà credito proprio agli studi che parlano delle nano particelle, studi che sono nati in Italia, a Modena, a opera della dottoressa Antonietta Gatti e che in tutto il mondo sono un dato acquisito.
Tanto che avvocati belgi, inglesi e francesi, hanno acquisito la sentenza per studiarla. Insomma, per dirla con le parole del giudice, che spiazzano la commissione: si ritiene «l’esistenza di un nesso causale tra la patologia contratta e l’esposizione all’uranio impoverito in occasione del servizio prestato in Bosnia».

La sentenza giunge dopo altre 10 condanne ottenute dall’avvocato Tartaglia : «Undici sentenze dicono il contrario di quanto la politica sta cercando di affermare – aggiunge Tartaglia – a noi basta questo».
«In questa vicenda è successo di tutto – ci ha confidato Salvatore Antonaci, papà di Andrea – sono anche spariti i documenti a un certo punto. Lo Stato probabilmente farà opposizione, come negli altri giudizi, ma non ci spaventa più nulla. In tutti questi anni ho avuto Andrea vicino, nel mio cuore, e lo sapevo che sarebbe arrivata giustizia».

Fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2012/10/15/la-sentenza-del-tribunale-di-roma-altro-che-vaccini-i-nostri-militari-/9763/

foto: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Uranio-impoverito-la-storia-infinita-137168