Negli ultimi mesi si sono verificati diversi casi di suicidi tra gli appartenenti alle Forze Armate e Forze dell’Ordine.

 

A seguito dei quali, e solo in seguito agli stessi, vari vertici si sono mobilitati per chiudere la stalla solo dopo la fuga dei cavalli.

 

La stalla purtroppo è nuovamente aperta in attesa di nuove fughe.

 

A fronte di tali nefasti eventi dovrebbe sorgere in tutti una domanda: “cosa potrei fare nel caso mi trovassi difronte ad una persona possibilmente suicida?”

 

In molti, pur avendo difronte un caro o un amico con tale problematica, forse non interverrebbero.

 

Magari per superficialità, per timidezza, per ignoranza o ipotizzando di non essere all’altezza di tale situazione demandando una vitale e immediata azione ad altri più “titolati”.

 

Sarebbe un errore non recuperabile, anche per il fatto che chi conosce la persona “possibilmente” suicida, rappresenta la prima e più “professionale” sentinella, quindi la prima forma di tutela e assistenza.

 

Il primo passo da compiere nel caso venissimo a contatto con una persona ritenuta a rischio di suicidio sarebbe quello di sapere almeno identificarne i sintomi, quali, ad esempio, ripetuti accenni alla morte, volontario e insolito isolamento da amici e familiari, repentino abuso di alcolici e droghe, utilizzo insensato di denaro, cambi repentini di umore, trascuratezza della propria persona, comportamenti fuori dall’ordinario o inutilmente rischiosi.

 

Il secondo passo potrebbe essere l’utilizzo del metodo A.C.E.:

  • A “ASK”: chiedi informazioni dirette circa un’ipotesi di suicidio e valuta le risposte i comportamenti;
  • C “ CARE”: dimostragli reale vicinanza e umano interesse per ciò che sta dicendo, senza giudicare;
  • E “ESCORT”: prendi la persona in custodia e cerca di convincerlo a rivolgersi a personale professionalmente abilitato ad intervenire in certi contesti e, nel caso in cui il soggetto non fosse propenso, segnala la problematica direttamente ai centri specializzati, alle strutture sanitarie, alle Forze dell’ordine o al tuo Comando di appartenenza.

Il terzo passo è quello di inibire il libero accesso ad armi da parte del soggetto possibilmente suicida, attraverso la segnalazione alle Forze dell’ordine, nel caso le detenesse, o al Comando di appartenenza nel caso fosse un militare o altro soggetto con libero accesso ad armi e munizionamento.

 

Il problema è che nelle Forze Armate e nei Corpi Armati dello Stato la depressione e lo stress correlato sono ancora visti come problemi soggettivi e non oggettivi e naturali da parte dei vertici, quindi, come un male da nascondere da parte di tali soggetti, fino alla sua conclamazione ed esplosione quasi sempre coincidente con gesti estremi perpetrati da parte degli stessi.

 

I Vertici dovrebbe prendere coscienza che lo stress correlato è un possibile ed inevitabile passaggio obbligato per gran parte del proprio personale.

 

I Vertici dovrebbero essere più intelligenti, razionali e leali da capire che lo stress correlato e gli altri disturbi assimilati non avvengono solo a seguito dei conflitti bellici, bensì, e ancor più, nel normale svolgimento del servizio all’interno delle mura delle caserme.

 

Questo per vari motivi, tra i quali anche un aumento di comportamenti vessatori, illegali, arroganti e moralmente distruttivi perpetrati da Comandanti a vari livelli, e sempre più, messi in atto anche alla luce del giorno.

 

L’impunità ha esaltato e potenziato tale problematica nei soggetti più deboli o più problematici.

 

Ai vertici dico di preventivare con lealtà e razionalità tali situazioni, cercando di minimizzare ogni possibile catalizzatore presente nelle caserme, attraverso un reale, immediato, efficace ed efficiente sistema di prevenzione ed intervento.

Purtroppo non è stato sempre messo in atto ogni accorgimento, visto che seppur anticipati con formale denuncia possibili suicidi indotti, con indicazione di situazioni e nomi ben definiti, questi si sono verificati nei modi sopra descritti nella completa incuranza dei vertici interessati.

 

Le caserme dovrebbero essere un posto dove dissipare lo stress e le sofferenze e non, al contrario, dove enfatizzare il proprio malessere psico-fisico incontrando ciechi e sordi personaggi che giocano a fare i comandanti ( “c” volutamente minuscola), ma che nella realtà sanno solo comandare con il terrore e con le minacce. Forti con i deboli e deboli con i forti.

 

Nella speranza di non dover più piangere colleghi e amici.

 

Carlo Chiariglione

 

#nessunorimaneindietro

#GiustiziaPerAttianese