“Norme inadeguate, risultato devastante”. Lo Stato Maggiore: accuse inaccettabili

È il momento di ammettere che l’uranio impoverito può essere la causa di tumori. È la conclusione della Commissione parlamentare istituita per indagare sulle questioni dell’utilizzo dell’uranio impoverito, la cui relazione finale è stata approvata con 10 voti favorevoli e due contrari. Come ha riferito il presidente Gian Piero Scanu, i due contrari sono stati Elio Vito di Forza Italia e Mauro Pili del gruppo misto. Donatella Duranti, vicepresidente della Commissione: “Una maggioranza molto larga, indice del metodo che abbiamo usato in questi due anni, della più ampia condivisione. E ponendoci con grande onestà intellettuale di cui pensiamo di essere portatori”.

Le “reiterate sentenze della magistratura ordinaria e amministrativa”, si legge nella relazione conclusiva, hanno “costantemente affermato l’esistenza, sul piano giuridico, di un nesso di causalità tra l’accertata esposizione all’uranio impoverito e le patologie denunciate dai militari o, per essi, dai loro superstiti. Per l’uranio è stato altresì riconosciuto sul piano scientifico, con la Tabella delle malattie professionali Inail approvata nel 2008, il nesso causale per la nefropatia tubolare”.

Le conclusioni della Commissione sono contestate dallo Stato Maggiore della Difesa, richiamandosi anche all’improvvisa dissociazione di uno dei periti consultati dall’organismo di inchiesta parlamentare. “Anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate dal professor Trenta – si legge nella nota – le forze armate respingono con fermezza le inaccettabili accuse”. Lo Stato Maggiore ribadisce che “le Forze Armate italiane mai hanno acquistato o impiegato munizionamento contenente uranio impoverito. Tale verità è emersa ed è stata confermata anche dalle commissioni tecnico-scientifiche ingaggiate dalle quattro Commissioni parlamentari che, dal 2005 ad oggi, hanno indagato su tale aspetto” con “centinaia di ispezioni in siti militari, in aree addestrative e poligoni”.

Da parte sua, il professor Giorgio Trenta, subito dopo l’approvazione della relazione, ha dichiarato: “Non ho mai detto che l’uranio impoverito è responsabile dei tumori riscontrati nei soldati. Le mie affermazioni sono state travisate”. “Il presidente della Commissione – ha spiegato Trenta – cita una perizia in cui affermavo che l’uranio al massimo poteva essere il mandante, non l’esecutore materiale. Io parlavo di un militare che lavorava in un campo di atterraggio e decollo degli aeroplani che portavano le bombe all’uranio depleto in Kosovo che aveva una pista in terra battuta. Quindi quando gli aeroplani atterravano facevano un polverone, e questo faceva sì che inalasse microparticelle ma non di uranio, ma del materiale che stava nella pista”. “Tutte le agenzie internazionali, a partire dall’Oms, hanno sempre escluso una responsabilità dell’uranio impoverito – ha insistito Trenta -. Nessuno l’ha mai provata”.

La replica è affidata al presidente della Commissione, il deputato dem Gian Piero Scanu, che ricorda come llLe affermazioni del professore Trenta sull’uranio sono depositate in una sua perizia giurata presso la Corte dei Conti dell’Abruzzo. Nell’audizione in Commissione, il 23 marzo 2016, “gli fu chiesto due volte se confermava quel testo e non ne negò la paternità. Non si riesce a capire per quale motivo ora il professore voglia negare ‘la responsabilità di tali proiettili nel generare le nanopolveri che sono la vera causa di molte forme tumorali'”.

Contro il professore anche Mariella Cao, leader dell’associazione pacifista Gettiamo le Basi, che da decenni in Sardegna denuncia l’inquinamento ambientale dei poligoni militari e si è costituita parte civile nel processo sui cosiddetti veleni di Quirra. “Conosciamo Giorgio Trenta – ha dichiarato Cao all’Ansa -, nella precedente commissione parlamentare d’inchiesta aveva negato qualsiasi connessione tra il torio e le malattie, sostenendo che il torio non è pericoloso. In quell’occasione il Pm Fordalisi aveva sollecitato l’apertura di una indagine a suo carico e trasmesso gli atti in Procura”.

La relazione della commissione presieduta da Scanu (che non sarà ricandidato alle prossime elezioni politiche del 4 marzo) è un vero e proprio cahier de doléances che punta l’indice contro annose inefficienze delle Forze Armate in tema di sicurezza sui posto di lavoro e controlli e vigilanza sulla salute dei soldati, sia in Italia che nelle missioni all’estero”. “Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché, mai più una ‘penisola interdetta'”.

La Commissione parlamentare Uranio raccomanda “al prossimo Parlamento di vigilare con il massimo scrupolo sulle modalità di realizzazione della missione” in Niger, “anche per quanto attiene alla valutazione dei rischi, all’idoneità sanitaria e ambientale dei luoghi di insediamento del contingente, alla congruità delle pratiche vaccinali adottate e alle pratiche di sorveglianza sanitaria”.

“Il lavoro della Commissione è stata “un’opera a maggior ragione preziosa, ove si tenga presente che malauguratamente non appaiono sistematici gli interventi della magistratura penale a tutela della sicurezza e della salute del personale dell’Amministrazione della Difesa. Il risultato è devastante”. “Molteplici e temibili” sono per la Commissione “i rischi a cui sono esposti lavoratori e cittadini nelle attività svolte dalle Forze Armate, ma anche dalla Polizia di Stato e dai Vigili del Fuoco”.

I lavori della commissione si concludono con la presentazione di una proposta di legge che prevede, tra l’altro, l’abolizione della giurisdizione domestica: oggi i controlli sono fatti in casa, ovvero i militari controllano se stessi (la cosiddetta giurisdizione domestica). Si arriva addirittura al paradosso che i Rappresentanti dei lavoratori non siano eletti dai lavoratori ma dall’amministrazione. La proposta prevede invece che i controlli siano effettuati da enti terzi con compiti precisi.

“La Commissione d’inchiesta ha scoperto le sconvolgenti criticità che in Italia e nelle missioni all’estero hanno contribuito a seminare morti e malattie tra i lavoratori militari del nostro Paese. Desta allarme la situazione dei teatri operativi all’estero: è stata constatata l’esposizione a inquinanti ambientali in più casi nemmeno monitorati. Singolare è, inoltre, la scarsa conoscenza, ammessa dagli stessi vertici militari, circa l’uso in tali contesti di armamenti pericolosi eventualmente impiegati da Paesi alleati”.

“Il risultato è devastante. Nell’Amministrazione della Difesa continua a diffondersi un senso d’impunità quanto mai deleterio per il futuro, l’idea che le regole c’erano, ci sono e ci saranno, ma che si potevano, si possono e si potranno violare senza incorrere in effettive responsabilità. E quel che è ancora peggio, dilaga tra le vittime e i loro parenti un altrettanto sconfortante senso di giustizia negata. Ecco perché in data 15 ottobre 2017 la Commissione ha trasmesso la ‘Relazione intermedia’ al Ministro della Giustizia”.

“Rischi minacciosi gravano persino su caserme, depositi, stabilimenti militari: sia deficienze strutturali (particolarmente critiche nelle zone a maggior sismicità), sia carenze di manutenzione, sia materiali pericolosi. La presenza di amianto ha purtroppo caratterizzato navi, aerei, elicotteri. Tanto è vero che la Commissione d’inchiesta è giunta ad accertare che solo nell’ambito della Marina Militare 1101 persone sono decedute o si sono ammalate per patologie asbesto-correlate”.

“Le criticità sono alimentate da un problema irrisolto: l’universo della sicurezza militare non è governato da norme e da prassi adeguate. Restano immutate le scelte strategiche di fondo che attualmente ispirano la politica della sicurezza nel mondo delle Forze Armate. Quelle scelte strategiche che paradossalmente trasformano il personale della Difesa in una categoria di lavoratori deboli”.

“Questi due anni di investigazioni a tutto campo hanno consentito di fare finalmente piena luce sugli otto meccanismi procedurali e organizzativi che oggettivamente convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti su militari e cittadini e nel contempo di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere.

Primo. I datori di lavoro sprovvisti di autonomi poteri decisionali e di spesa. Secondo. La vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro delle Forze armate è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici della Difesa, i cosiddetti ‘ispettori domestici’. La loro azione si è dimostrata insufficiente.

Terzo. La diffusa inosservanza degli obblighi inerenti alla valutazione dei rischi risulta perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento, dei rischi e delle responsabilità effettive. Quarto. I Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (Rspp) e i Medici competenti (Mc) in alcuni siti sono risultati addirittura assenti.

Quinto. I ‘Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza’ sono  nominati dal datore di lavoro. Sesto. La crisi del Centro Interforze Studi e Applicazioni Militari (Cisam), che ha dichiarato la propria incapacità operativa a provvedere a una completa caratterizzazione radiometrica. E del Centro Tecnico Logistico Interforze (Cetli).

Settimo. Un Osservatorio epidemiologico della Difesa scientificamente non accettabile. Ottavo. Gli importi dei pagamenti delle sanzioni amministrative eventualmente irrogate al personale militare e civile dell’Amministrazione della difesa per violazioni sanzioni sono pagate dallo Stato.

• LA PROPOSTA: “ABOLIRE I CONTROLLORI DI SE STESSI”
“Basilare sarebbe, anzitutto, l’approvazione della proposta di legge-Scanu firmata dalla quasi totalità dei componenti della Commissione, più che mai indispensabile al fine di garantire un’effettiva prevenzione contro i rischi incombenti su militari e cittadini. Le norme ivi contenute rompono il perverso meccanismo della giurisdizione domestica e affidano la vigilanza sui luoghi di lavoro dell’Amministrazione della difesa al personale del Ministero del lavoro”.

“Tra le altre necessità: servizi ispettivi terzi ed efficienti. Una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro, altamente specializzata e con competenza estesa a tutto il Paese. Individuare il datore di lavoro di fatto. Garantire l’autonomia e la competenza degli organi di controllo. Prevedere Rappresentanti dei lavoratori eletti o designati dai lavoratori militari. Urgente anche il superamento dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa e l’affidamento delle indispensabili ricerche epidemiologiche nel mondo militare a un ente terzo e qualificato per coerenza scientifica come l’Istituto Superiore di Sanità”.

“Sono emerse rilevanti criticità che investono in primo luogo i temi della salute dei lavoratori e dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti agli insediamenti militari, nonché della salubrità degli ambienti. La Commissione non ritiene accettabile che l’adozione di misure di prevenzione e sicurezza nei poligoni e nelle strutture industriali della difesa possa essere condizionata dalla indisponibilità di mezzi finanziari adeguati. Sono particolarmente significativi i dati emergenti dalle indagini sui poligoni di tiro relativi alla salute dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti i poligoni, soprattutto in Sardegna”.

“Un aspetto rilevante riguarda l’utilizzo dei missili anticarro Milan, il cui sistema di puntamento include una componente radioattiva, consistente in una lunetta di torio che, dopo il lancio, ricade sul terreno. Per quanto riguarda il personale, sono stati numerosi i militari ammalati”.

“È emerso come le attività di brillamento venissero condotte tenendo in scarsa considerazione le condizioni di sicurezza degli operatori e delle popolazioni residenti. Numerose criticità presenta anche il poligono di Capo Teulada, a causa di una situazione ambientale che risulta fortemente compromessa. Il dottor Emanuele Secci, sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari: “Dai dati che abbiamo rilevato, sembrerebbe che siano presenti nella penisola interdetta 566 tonnellate di armamenti e che in due anni ne siano stati eliminati otto”.

Durante alcune audizioni è stata riconosciuta la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari inviati ad operare in zone in cui era stato fatto un uso massiccio di proiettili all’uranio impoverito.

“In relazione a tre specifici casi emersi nel corso dell’inchiesta, la Commissione ha convenuto di trasmettere gli atti acquisiti nelle rispettive audizioni presso le procure della Repubblica competenti”.

Primo. “Si tratta della vicenda relativa al militare Antonio Attianese, vittima di una grave patologia insorta a seguito della sua permanenza in territori contaminati dalla presenza di uranio impoverito in Afghanistan. Davanti alla Commissione, il 15 marzo 2017, denunciava l’atteggiamento ostruzionistico di alcuni superiori e le gravi minacce da lui subite nel corso delle pratiche relative alla sua richiesta di causa di servizio”.

Secondo. “È il caso sollevato dal Tenente Colonello Medico Ennio Lettieri che, il 5 luglio del 2017, affermava di essere stato direttamente testimone, nel corso della sua ultima missione in Kossovo, in qualità di direttore dell’infermeria del Comando Kfor, della presenza di una fornitura idrica altamente cancerogena di cui era destinatario il contingente italiano, in un contesto di scarsa o inefficiente sorveglianza sanitaria sui militari italiani ivi impiegati e di grave pericolosità ambientale, del tutto sottovalutato o ignorato dai comandi in carica”.

Terzo. “La Commissione ha provveduto a trasmettere alla procura della Repubblica di Roma gli atti relativi all’esame testimoniale svolto il 16 novembre 2017 dal generale Carmelo Covato della Direzione per il Coordinamento Centrale del Servizio di Vigilanza, Prevenzione e Protezione dello Stato Maggiore dell’Esercito”.

“Nel corso di un’intervista televisiva andata in onda pochi giorni prima, Covato aveva affermato che i militari italiani impiegati nei Balcani erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati. Affermazioni, queste, che apparivano in contrasto con le risultanze dei lavori della Commissione e con gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell’intera inchiesta”.

Fonte e foto: http://www.affaritaliani.it/cronache/uranio-commissione-parlamentare-ha-seminato-la-morte-tra-i-militari-523468.html